Ascesa e caduta della città di Mahagonny
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Stagione d’Opera e Balletto 2025–26
Ascesa e caduta della città di Mahagonny
Musica di Kurt Weill
Trama
Atto I
Da un autocarro in panne nel deserto escono due lestofanti, l'inetto Fatty e il nerboruto Moses, inseguiti dalla polizia dopo una rapina. Mentre discutono sul da farsi, dall'autocarro esce una donna, la loro complice Begbick: ella, più furba dei due compagni, suggerisce di fermarsi nel punto esatto in cui si trovano, dove, coi proventi della rapina, fonderanno una città di nome Mahagonny; in essa il vizio la farà da padrone, in modo da attirare gli incauti che cercano irragionevolmente la gioia. La voce della fondazione di questa nuova incredibile città si diffonde rapidamente, grazie ad una pressante rèclame effettuata da Fatty e Moses, ma orchestrata da Begbick.
Tra le prime persone a giungere a Mahagonny c'è un gruppo di ragazze in cerca di amore e denaro, capeggiate dalla disinibita Jenny, che in una ammiccante canzone rivela di venire dall'Alabama. Più in là arrivano anche Jim, Jack, Bill e Joe, quattro tagliaboschi reduci da sette inverni di duro lavoro in Alaska, grazie al quale hanno guadagnato moltissimo denaro. I quattro sono però sorpresi dalla partenza di alcuni cittadini, delusi dalla loro permanenza a Mahagonny; per irretirli, Begbick abbassa la lista dei prezzi dell'alcool e assegna a ciascuno una compagna. Jim sceglie Jenny: la donna si adopera per soddisfare ogni suo desiderio, arrivando a pettinarsi secondo i suoi gusti o indossare biancheria intima a comando; quando, tuttavia, lui le chiede quali siano i suoi desideri, lei dice di non averne nessuno.
Passa del tempo, e l'abbassamento dei prezzi dell'alcool causa una pesantissima crisi finanziara dilaga a Mahagonny, che si svuota rapidamente dei suoi abitanti. Begbick, ormai disillusa, suggerisce di tornare alla civiltà, ma Fatty e Moses le ricordano che questo vorrebbe dire finire in carcere. I tre si accordano allora per instaurare una politica di austerità, che colpisce in particolar modo i quattro nuovi arrivati. A differenza dei colleghi, che si adattano senza problemi al nuovo regime, Jim si rende conto che le privazioni adesso imposte sono pari al duro lavoro in Alaska, e grida a Begbick che Mahagonny non potrà mai rendere davvero felici gli uomini. Il suo sfogo è però interrotto da una notizia terribile: un violento uragano sta avanzando verso Mahagonny, distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino. L'angoscia dei cittadini permette a Jim di perorare la causa della totale anarchia: così come le forze della natura agiscono senza alcuna legge né criterio, tutti gli abitanti di Mahagonny potranno abbandonarsi agli eccessi.
Atto II
Un altoparlante annuncia i disastri provocati dall'uragano alle città limitrofe. All'ultimo istante, tuttavia, il tifone devia e risparmia Mahagonny; l'insurrezione di Jim (accolta positivamente anche da Begbick) fa però sì che gli abitanti si abbandonino agli eccessi più sfrenati. Quattro sono in particolare i gozzovigli più richiesti: il cibo, il sesso, la violenza e l'alcool. Ciascuno di questi eccessi, però, nuoce irrimediabilmente a Jim: durante un'abbuffata, Jack si ingozza fino alla morte; nel mezzo di un'orgia, poi, Jenny riflette con lui su quanto l'amore sia inutile, rimanendo con lui per convenzione ma decidendo di accoppiarsi con altri uomini. Nel frattempo Joe sfida Moses a un incontro di boxe, decisamente impari vista la stazza dell'avversario: infatti il boscaiolo viene ucciso con un K.O.. Jim, che preso dalla smania aveva scommesso tutti i suoi averi sulla vittoria dell'amico, rimane povero in canna.
Per scrollarsi di dosso questi dispiaceri, Jim offre un giro di whisky a tutti i presenti, e ubriaco salta sul tavolo da biliardo immaginandosi a bordo di un battello che veleggia verso l'Alaska con Jenny e Bill, il solo amico che gli sia rimasto. Quando Begbick gli chiede di saldare il conto, Jim dichiara di non avere più denaro: Moses lo accusa allora della colpa più grave di cui ci si possa macchiare a Mahagonny, l'insolvenza. Poiché nessuno, a cominciare da Jenny e Bill, è disposto a sanare i suoi debiti, Jim viene arrestato e incriminato.
Atto III
Incatenato, Jim spera ingenuamente che la notte non termini mai, poiché col mattino arriverà il giudizio. Il processo appare come una grottesca festa, di cui Moses vende i biglietti a caro prezzo prima di assumere il ruolo di pubblico ministero, mentre Begbick è il presidente di giuria e Fatty avvocato difensore di un certo Tobby Higgins, reo di aver ucciso volontariamente una persona facendo passare il delitto come un incidente. Fatty invita la vittima a risorgere dai morti per testimoniare contro di lui, ma ovviamente ciò non accade; Toby è quindi libero di corrompere giudice e giuria, e di conseguenza Begbick archivia il caso senza condannarlo.
Viene quindi discusso il caso di Jim. L'uomo chiede nuovamente aiuto a Bill, facendo leva sul ricordo dei bei tempi in Alaska, ma questi rifiuta, limitandosi a fargli da avvocato. Moses accusa quindi Jim di di aver incitato Joe al combattimento dove ha trovato la morte, di aver sedotto Jenny (che si presenta come querelante) allo scopo di invitarla a prostituirsi e per aver sobillato la folla a ribellarsi la notte del tifone. Billy ribatte che, commettendo quest'ultimo crimine, Jim ha messo a nudo la fragilità delle leggi di Mahagonny, e chiede conto di chi abbia materialmente ucciso Joe (domanda alla quale Moses non risponde). Per questi reati, in ogni caso, Jim sarebbe condannato a pene risibili, ma non c'è arringa che tenga contro l'accusa principale contro di lui: non aver pagato un conto. Jenny e Bill voltano definitivamente le spalle a Jim: con rabbia e indignazione Begbick, Fatty e Moses lo condannano quindi alla sedia elettrica.
La condanna di Jim provoca un'inaspettata reazione emotiva nella gente di Mahagonny: molti, disillusi, si chiedono in quale altro posto potranno mai vivere. Intanto Jim saluta teneramente Jenny, che con notevole ipocrisia si dichiara sua vedova, e la affida a Bill. Questi cerca di ritardare l'esecuzione paventando un castigo di Dio; a quel punto Moses si atteggia egli stesso a Dio, accusando i presenti di condotta immorale e destinandoli all'inferno. I cittadini tuttavia gli rispondo che non possono essere mandati all'inferno, perché ci sono già. Jim, intanto, chiede solo un bicchiere d'acqua come ultimo desiderio, ma gli viene rifiutato: poco dopo muore sulla sedia elettrica.
Dopo la morte di Jim, l'aumento dell'ostilità tra le varie fazioni della città causa la caduta di Mahagonny. Mentre la città brucia sullo sfondo, Jenny e le altre ragazze portano in processione i vestiti di Jim, e Bill con altri uomini trasporta il suo corpo. Anche Begbick, Fatty e Moses si uniscono alla processione, mentre l'opera termina nel caos.
Programma e cast
Direttrice d’orchestra: BEATRICE VENEZI
Regia: HENNING BROCKHAUS
Scene: MARGHERITA PALLI
Costumi: GIANCARLO COLIS
Maestro del coro: PAOLO LONGO
Coproduzione della Fondazione Teatro Regio di Parma e della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Cast:
Leokadja Begbick: ALISA KOLOSOVA
Fatty, il “procuratore”: CHRIS MERRITT
Mose della Trinità: RUBEN AMORETTI
Orchestra, coro e tecnici: Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Teatro Verdi Trieste
Il Teatro Lirico Giuseppe Verdi è un teatro d'opera situato a Trieste, in Italia, che prende il nome dal compositore Giuseppe Verdi. Costruito privatamente, fu inaugurato come Teatro Nuovo per sostituire il più piccolo "Cesareo Regio Teatro di San Pietro" da 800 posti il 21 aprile 1801 con una rappresentazione della Ginevra di Scozia di Johann Simon Mayr. Inizialmente, il Nuovo aveva 1.400 posti. Nel 1821, divenne noto come Teatro Grande.
Verso la fine del XVIII secolo, divenne evidente la necessità di un nuovo teatro a Trieste. Il suo teatro principale, il Teatro di San Pietro, era diventato sempre più inadeguato e chiuse definitivamente i battenti nel 1800. Una proposta alla Cancelleria austriaca da parte di Giovanni Matteo Tommasini per costruire un teatro privato esisteva dal 1795 e, nel giugno 1798, fu redatto un contratto in base al quale il finanziamento annuale sarebbe arrivato dal comune e Tommasini avrebbe detenuto i diritti su diversi palchi e il diritto di venderne altri. Fu incaricato Gian Antonio Selva, l'architetto della Fenice di Venezia, che progettò un auditorium classico a forma di ferro di cavallo. Tuttavia, i suoi progetti esterni furono considerati troppo semplici per gli austriaci che quindi ingaggiarono un altro architetto, Matteo Pertsch, per risolvere il problema, che fu risolto incorporando elementi del teatro dell'opera La Scala di Milano. Il "Nuovo" divenne un mix tra La Fenice all'interno e La Scala all'esterno.
Storia
Nel corso della sua vita il teatro cambiò nome in diversi modi, il primo nel 1821 quando divenne il Teatro Grande[1] e fu con questo nome che il teatro fu sede di due prime di opere verdiane: Il corsaro nel 1848 (con il soprano Giuseppina Strepponi, che Verdi sposò nel 1859, nel ruolo principale) e Stiffelio, una produzione che Verdi supervisionò - non senza polemiche - nel 1850.[2] Tuttavia, prima di queste prime, le opere di Verdi avevano iniziato a dominare il palcoscenico del Teatro Grande, seguite, con il passare del secolo, da tutte le principali opere del repertorio operistico, comprese quelle di Puccini e Wagner.
Un ulteriore cambio di nome seguì nel 1861 a causa del passaggio dalla proprietà privata a quella pubblica. Divenne così il Teatro Comunale e come tale continuò a esistere per tutti gli ultimi anni del XIX secolo. Nel 1881, la capienza era stata aumentata a 2.000 posti a sedere tramite l'uso di posti in piedi esistenti; ma, entro quel dicembre, il teatro fu dichiarato non sicuro e fu chiuso per lavori di ristrutturazione, durante i quali l'elettricità sostituì l'illuminazione a gas per la riapertura nel 1889 con 1.000 posti a sedere.
A poche ore dalla sua morte nel gennaio 1901,[3] il teatro fu nuovamente rinominato, questa volta per onorare la memoria di Giuseppe Verdi. Fu ampiamente restaurato tra il 1992 e il 1997 e riaperto con circa 1.300 posti a sedere[4] e con un concerto Viva Verdi[3] che includeva estratti da molte delle opere del compositore. (Come il restauro della Scala tra il 2001 e il 2004, a Trieste è stata rapidamente creata una sede alternativa temporanea e la Sala Tripcovich continua a offrire spazio per opere da camera e operette.)
Una caratteristica importante della programmazione del Teatro Verdi negli ultimi 40 anni, che deriva dall'occupazione austriaca originaria della città nel XIX secolo e dal fatto che Trieste non divenne parte dell'Italia fino al 1918, è il "Festival Internazionale dell'Operetta" che si svolge ogni estate.
Prime Il teatro ha visto le prime assolute delle seguenti opere: Ginevra di Scozia di Simon Mayr, 21 aprile 1801 Annibale in Capua di Antonio Salieri, 20 maggio 1801 Ricciarda di Edimburgo di Cesare Pugni, 29 settembre 1832. Enrico II di Otto Nicolai, 26 novembre 1839 Il corsaro di Giuseppe Verdi, 25 ottobre 18 48 Stiffelio di Giuseppe Verdi, 16 novembre 1850 Nozze istriane di Antonio Smareglia, 28 marzo 1895