La Gioconda

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LA GIOCONDA - Amilcare Ponchielli
Opera in quattro atti, in italiano, con sottotitoli in ungherese, inglese e italiano
Durata dell'esecuzione: 3 ore e 30 minuti, con 1 intervallo.

 

L'opera più famosa di Ponchielli trasporta il pubblico nella magica, ma al tempo stesso pericolosa, Repubblica Veneziana del XVII secolo. La protagonista dell'opera è una cantante di strada di nome Gioconda. Nonostante il suo nome, che significa “la gioviale”, la sua vita prende una piega tragica a causa delle macchinazioni di una figura diabolica e malvagia, che è disperatamente innamorata di lei.
Ponchielli e Boito utilizzano quasi tutti i tropi disponibili del grand opéra: il carnevale mascherato, il triangolo amoroso, colpi di scena inaspettati, veleno, una donna cieca denunciata come strega, scene di folla coinvolgenti – e danza: la parte più nota dell'opera è l'intermezzo di balletto il “Danza delle ore”.
Quest'opera nello stile della grand opera francese e italiana ha avuto la sua prima in una produzione diretta da András Almási-Tóth.

 

 

Trama

L'azione si svolge nella Venezia del XVII secolo.

 

Atto I - La bocca del leone

Cortile del Palazzo Ducale di Venezia. Presso il portico della Carta, un portone conduce all'interno della Basilica di San Marco. Su un lato del cortile una bocca di leone riporta incisa sul marmo la scritta: «Denontie secrete per via d'inquisizione contra cada una persona con l'impunita secreteza et benefitii giusto alle leggi». Nelle vicinanze si trova lo scrittoio di uno scrivano.

 

Mentre il popolo festante, che affolla il cortile, si dirige alla regata («Feste! Pane!»), Barnaba - informatore del Consiglio dei Dieci che si finge cantastorie - spia, nascosto dietro ad una colonna, Gioconda che conduce in chiesa la madre (la Cieca) non vedente («Figlia, che reggi il tremulo piè»). L'uomo è innamorato di Gioconda, ma, dopo l'ennesimo rifiuto di lei («Al diavol vanne con la tua chitarra!»), medita di vendicarsi sulla Cieca.

 

Il popolo ritorna dalla regata («Gloria a chi vince il palio verde»): il regatante Zuàne è il perdente. Barnaba gli si avvicina e gli insinua il dubbio: che sia stata una stregoneria a farlo perdere? Barnaba allora accusa la Cieca («La vidi staman gittar sul tuo legno un segno maliardo, un magico segno [...] la tua barca sarà la tua bara!»). La calunnia si diffonde tra il popolo, che si scaglia contro la donna. Né Gioconda, né l'uomo di cui è innamorata, Enzo[6], riescono a sottrarla alla folla («Assassini, quel crin venerando rispettate!»), quando sopraggiungono Laura Adorno (di cui Enzo è innamorato) e suo marito Alvise Badoero, nobile veneziano e inquisitore di stato. La nobildonna intercede presso il marito, che riesce a salvare la Cieca, la quale, riconoscente, dona a Laura un rosario («A te questo rosario, che le preghier aduna... ti porterà fortuna»). La folla si disperde.

 

Barnaba si avvicina ad Enzo, lo chiama col suo vero nome, lo rassicura che terrà il segreto per sé e gli rivela che quella notte Laura fuggirà con lui. Barnaba rivela ad Enzo la sua vera identità («Sono il possente demone del Consiglio dei Dieci») e gli confida di aver fatto tutto ciò per poter essere amato da Gioconda. Enzo fugge, inorridito.

Rimasto solo, Barnaba detta allo scrivano Isépo una denuncia che accusa entrambi gli amanti e la inserisce nella bocca del leone («O monumento!»), mentre Gioconda, nascosta dietro ad una colonna con la madre, ode le accuse e osserva l'atto della delazione.

 

Uscito di scena Barnaba, un popolo festante entra nel cortile («Carneval! Baccanal!») improvvisando una forlana[7], ma i festeggiamenti vengono interrotti dai cori dei fedeli che giungono dalla basilica. Un barnabotto esorta il popolo a inginocchiarsi e pregare seguendo i vespri («Tramonta il sol... udite il canto del vespro santo, prostrati al suol»). Mentre si ode l'inno, Gioconda, disperata («Tradita! Ohimè, io soccombo!»), lamenta il suo destino («O cor, dono funesto»). La madre cerca di consolarla, ma Gioconda è decisa: quella stessa notte, anche lei salirà sulla nave di Enzo.

 

Atto II - Il rosario

È piena notte e un brigantino, col nome «Hècate» dipinto sulla fiancata, attende alla fonda presso la bocca della laguna di Venezia detta della Fusina. Nelle immediate vicinanze un'isola deserta.

 

I marinai dell'Hècate attendono ai loro compiti cantando una marinaresca. Intanto Barnaba, fingendosi un pescatore («Pescator, affonda l'esca!»), spia la nave di Enzo dopo aver inviato Isépo ad avvertire il naviglio veneziano. Entra in scena il principe Enzo e manda sotto coperta i marinai perché resterà lui a vegliare durante la notte. Rimasto solo, attende trepidante l'arrivo di Laura («Cielo e Mar»). È Barnaba a condurre da lui l'amante, accostandone la barca al brigantino. Laura sale a bordo, ma appare allarmata per il sinistro augurio del falso pescatore. Eppure – ribatte Enzo – quello «è l'uomo che ci aperse il paradiso!». I due amanti si scambiano dolci parole, fino a che non tramonta completamente la luna, al che Enzo si allontana sotto coperta per cercare qualcuno che conduca la donna di nuovo a casa.

 

Rimasta sola nella notte, Laura confida alla Madonna il suo turbamento e la sua paura («Stella del marinar»). Sulle ultime parole della preghiera («su me scenda la tua benedizion...»), Gioconda esce dall'oscurità («E un anatema!») e aggredisce la rivale, minacciandola di ucciderla se non fuggirà. Ma Laura reagisce rivendicando la forza del suo amore («L'amo come il fulgor del creato!»). Gioconda allora minaccia di consegnarla al marito, che sta giungendo su una barca («Là è il tuo consorte!»). Ma quando Laura, spaventata, alza il rosario, Gioconda la riconosce come la donna che ha salvato sua madre, e la aiuta a fuggire. Laura, confusa, domanda il nome della salvatrice («Ma mi dirai chi sei?»), «Son la Gioconda», risponde l'altra.

 

Barnaba per un attimo ricompare in scena («Maledizion! Ha preso il vol!»), consigliando ad Alvise di seguire la barca sulla quale fugge Laura. Tornato Enzo, Gioconda gli dice che Laura è fuggita per paura («Vedi là, nel canal morto? Un navil che forza il corso? Essa fugge... il suo rimorso fu più forte dell'amor!»). Enzo, sdegnato («Non mi dir d'avermi amato... odio sol tu porti in core!»), corre verso la riva per seguire la donna amata («Là è la vita»), ma Gioconda lo ferma e lo avverte del pericolo delle galee veneziane («La è la morte!»). Il genovese, pur di non farsi prendere, dà fuoco alla nave (»Incendio! Guerra! Morte! Strage!»).

 

Atto III - Il narcotico o la Ca' d'Oro

Scena I: Una camera nella Ca' d'Oro. Sera; lampada accesa - da un lato un'armatura antica.

Alvise, scoperto il tradimento di Laura, giura di vendicarsi («Si, morir ella de'!»). Sarà una vendetta terribile, degna di un Badoéro: che le danze della festa gioiscano pure, lì il marito tradito deve vendicare il proprio onore. Decide però di non sporcarsi le mani, sarà lei stessa a darsi la morte con un veleno. Quindi fa convocare Laura e la lusinga nascondendo a malapena la sua ira: egli accenna ironicamente appena al suo tradimento («Bella così madonna, io non v'ho mai veduta»), e Laura, insospettita, gli chiede il motivo di tale comportamento («Dal vostro accento insolito cruda ironia traspira»). Alvise, al massimo dell'ira, la costringe a dire la verità, e poi le urla che morirà subito.

 

Mentre Laura lamenta il suo destino («Morir, morir è troppo orribile»), Alvise le mostra la sua bara. Da fuori risuona una canzone intonata dai gondolieri («La gaia canzone fa l'eco languir e l'ilare suono si muta in sospir»). Alvise la obbliga a bere un veleno prima che il canto giunga alla sua ultima nota, ma di nascosto Gioconda sopraggiunge e convince Laura a bere da un'altra boccetta, che contiene un potente narcotico che «della morte finge il letargo».

 

Dopo averlo bevuto, Laura entra nella camera mortuaria e si distende sul catafalco. Entra Alvise e, osservando la boccetta vuota, si convince che la donna è morta. Gioconda invoca la madre, e riflette sconvolta su quello che ha appena fatto: salvare la rivale per amore di Enzo («Io la salvo per lui, per lui che l'ama!»).

 

Scena II: Sontuosissima sala attigua alla cella funeraria, splendidamente parata a festa. Ampio portone nel fondo a sinistra, un consimile a destra, ma questo chiuso da una drapperia. Una terza porta nella parete a sinistra.

 

Nel palazzo si svolge un ricevimento durante il quale gli invitati inneggiano alla Ca' d'Oro («S'inneggi alla Ca' d'Oro!»). Alvise ha fatto allestire per loro lo spettacolo della Danza delle ore.
Sopraggiunge Barnaba, che di nuovo accusa la Cieca di stregoneria. Per le strade riecheggia il suono funesto della campana dei moribondi, e Barnaba confida ad Enzo che Laura è morta («Un'agonia? Per chi?... Per Laura!»). Quando Enzo, sconvolto, si smaschera davanti a tutti, Alvise ordina di arrestarlo e gli preannuncia una agonia dolorosa nel carcere. Infine, mostra a tutti il corpo, apparentemente senza vita, di Laura. Enzo fa per aggredirlo («Carnefice!»), ma viene fermato dalle guardie e arrestato. Gioconda sussurra a Barnaba "Se lo salvi e adduci al lido, Laggiù presso al Redentor, Il mio corpo t'abbandono, O terribile cantor."

 

Atto IV - Il canal orfano

L'atrio di un palazzo diroccato nell'isola della Giudecca. Nell'angolo di destra un paravento disteso, dietro il quale si trova un letto. Un gran portone di riva nel fondo, da cui si vedrà la laguna e la piazzetta di San Marco, illuminata a festa. Un'immagine della Madonna e una croce appesa al muro. Un tavolo, un canapè, sul tavolo una lucerna e una lanterna accese, un'ampolla di veleno, un pugnale. Sul canapè, vari adornamenti scenici di Gioconda. A destra della scena, una lunga e buia calle.

 

L'isola della Giudecca. Un dolce e malinconico preludio apre l'ultimo atto. Gioconda, sola, attende l'arrivo di qualcuno. Giungono gli amici cantori, che le portano il corpo di Laura, trafugato dalla cripta. Gioconda supplica i cantori di cercare la Cieca. Rimasta sola, la donna medita il suicidio («Suicidio! In questi / Fieri momenti»).

 

D'improvviso la cantatrice ha l'impulso di liberarsi della rivale («Se spenta fosse!!! Siam sole... è notte... profonda è la laguna...»), ma viene interrotta da due voci dal canale lì vicino che segnalano la presenza di un cadavere nella laguna («Eh! dalla gondola, che nuove porti? - Nel Canal Orfano ci son dei morti!»). Gioconda inorridita si blocca e invoca la pietà dell'amato per ciò che stava per fare.

 

Proprio in quel momento sopraggiunge Enzo, liberato da Barnaba grazie all'intercessione di Gioconda. Enzo è disperato, vuole raggiungere il sepolcro di Laura e uccidersi, ma Gioconda gli dice di averla rapita. Enzo, furibondo, cerca di farsi dire dove l'ha nascosta («O furibonda iena che frughi il cimitero!»). Alla resistenza di Gioconda, sta per ucciderla («Oh, gioia, m'uccide!»), quando, proprio in quel momento, si risveglia Laura, che lo chiama per nome.

 

Gioconda, sopraffatta dalla vergogna, si nasconde, ma Laura rivela all'amato che è stata proprio lei a salvarle la vita. Enzo la benedice, mentre compare la barca dei cantori che intonano una Serenata, la stessa durante la quale Laura ha bevuto la pozione. Gioconda rammenta la canzone e il rosario donato a Laura dalla madre: rinnova la benedizione su Laura, e la fa fuggire sulla barca con Enzo ad Aquileia. I due giovani, commossi, la benedicono mentre si allontanano.

 

Disperata, Gioconda prende la spada per uccidersi, quando si ricorda della madre, e anche del patto con Barnaba. Fa per fuggire, quando le si fa innanzi Barnaba. È il momento di pagare il prezzo: la cantatrice ha promesso il suo corpo a Barnaba in cambio della liberazione di Enzo. Ma dopo averlo tenuto a bada lusingandolo («Vò farmi più gaia... più fulgida ancora...»), si lascia cadere di peso sulla spada, accoltellandosi a morte («Volesti il mio corpo, demon maledetto? E il corpo ti do!»).

 

Barnaba, beffato, vuole vendicarsi rivelandole che le ha appena ucciso la madre («Ier tua madre m'ha offeso... io l'ho affogata!»). Ma è tardi: Gioconda è già morta («Non ode più!»). Dopo aver emesso un alto grido di rabbia, Barnaba si dilegua scappando per le calli.

Programma e cast

Direttore: Balázs Kocsár
Gioconda: Zsuzsanna Ádám, Francesca Tiburzi
La Cieca, madre cieca di Gioconda: Atala Schöck
Barnaba: Csaba Szegedi
Laura Adorno: Andrea Szántó
Enzo Grimaldo: István Kovácsházi, Pavel Černoch
Alvise Badoero, capo dell'Inquisizione di Stato, marito di Laura: Krisztián Cser
Zuàne, un concorrente alla regata: Boldizsár Zajkás
Isèpo, uno scrivano: Gergely Biri
Un sacerdote / Un cantante di strada / Una voce da lontano: Károly Fekete, Gergely Irlanda
Un'altra voce da lontano: Márió Matyó, János Novák

 

Con l'Orchestra e il Coro del Teatro dell'Opera di Stato ungherese, e il Balletto Nazionale Ungherese

 

Compositore: Amilcare Ponchielli
Librettista: Arrigo Boito
Regista: András Almási-Tóth
Consulente artistico: Éva Marton
Scenografa: Krisztina Lisztopád
Costumista: Bori Tóth
Lighting designer: Tamás Pillinger
Coreografa: Dóra Barta
Traduzione ungherese: Judit Kenesey
Traduzione inglese: Arthur Roger Crane
Direttore del coro: Gábor Csiki

Teatro dell'Opera di Budapest

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Il Teatro dell'Opera di Budapest (Magyar Állami Operaház in ungherese) è uno dei maggiori esempi di architettura neorinascimentale. Si trova a Pest in Andrássy út 20.

 

Costruito da Miklós Ybl tra il 1875 e il 1884, è un edificio riccamente decorato, ed è considerato uno dei suoi capolavori. In stile neorinascimentale con elementi barocchi, è arricchito con affreschi e sculture di Bertalan Székely,Mór Than e Károly Lotz.

 

Di fronte alla facciata vi sono le statue di Ferenc Erkel, compositore dell'inno nazionale, e del compositore classicoFranz Liszt, entrambe di Alajos Stróbl.

Gustav Mahler ne fu direttore dal 1888 al 1891.

Attila Nagy
© Berecz Valter
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