Tosca

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Melodramma in tre atti
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, tratto dal dramma La Tosca di Victorien Sardou

 

Trama

La trama ha luogo a Roma martedì 17 giugno 1800.

 

Atto I

Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella basilica di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare le chiavi della sua cappella. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano (basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando (...e sempre lava...), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto (Recondita armonia...). Il sagrestano nota che il quadro di Cavaradossi ritrae la bella faccia della marchesa Attavanti. Offrendogli il pranzo, che il pittore rifiuta, il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l'arrivo di Floria Tosca (soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella con il cibo. Mario non può rivelare alla sua amata l'accaduto poiché teme che ella, fervida credente, riveli in confessione la presenza di Angelotti. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera, dopo il suo spettacolo (Non la sospiri la nostra casetta...). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica (Qual occhio al mondo...), riesce a calmarla e a congedarla. Tuttavia, Tosca vuole assolutamente che il pittore faccia gli occhi neri al ritratto.

 

Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga. Portano con sé il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.

 

La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia (baritono), capo della polizia papalina, il quale, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch'egli bonapartista. Scarpia trova nella cappella il ventaglio dimenticato da Angelotti. Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, sia per motivi professionali ma anche amorosi, egli cerca di coinvolgere Tosca, della quale è segretamente innamorato. Tosca, infatti, è ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma è sfumato, in quanto ella è stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento militare (Ed io venivo a lui tutta dogliosa...). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca sfruttando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Uscita Tosca, Scarpia ordina al suo agente di polizia Spoletta di seguirla di nascosto (Tre sbirri, una carrozza...) e, mentre i fedeli popolano la chiesa intonando il Te Deum per celebrare la sconfitta di Napoleone, il barone immagina con gioia feroce l'impiccagione di Cavaradossi e sogna di avere Tosca fra le sue braccia.

 

Atto II

Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del re e della regina di Napoli per celebrare la vittoriosa battaglia, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri gendarmi hanno seguito la furente Tosca fino alla villetta di Mario, dalla quale la donna è tuttavia uscita poco dopo, avendo compreso il grave errore causato dalla sua gelosia. Gli sbirri hanno perquisito a fondo la dimora ma non sono stati in grado di localizzare Angelotti, così arrestano Mario e lo conducono al cospetto di Scarpia. Il pittore, interrogato, si rifiuta di rivelare il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.

 

Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache è falsa, e che invece è stato Napoleone a vincere a Marengo. Mario inneggia ad alta voce alla vittoria e Scarpia lo condanna immediatamente a morte per impiccagione, facendolo condurre via. Più tardi arriva anche la notizia che Angelotti si è suicidato all'arrivo degli sbirri: Scarpia ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a Cavaradossi. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di accordare la grazia a Mario: il barone acconsente solo a patto che ella gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore), ma invano: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che Cavaradossi sarà fintamente giustiziato mediante una fucilazione simulata, con fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa, che nel frattempo aveva preso un coltello dal tavolo, lo colpisce dritto al cuore e Scarpia muore. Tosca sottrae quindi il salvacondotto dalle mani del cadavere, poi, in uno slancio di religiosa pietà, pone due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente scappa via.

 

Atto III

È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta un malinconico stornello in romanesco e le campane di Roma suonano la messa del mattino. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a Tosca, ma non riesce a terminarla, sopraffatto dai ricordi (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta a uccidere Scarpia, gli mostra il salvacondotto e lo informa della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Mario, però, viene fucilato veramente: Tosca, sconvolta e inseguita dai poliziotti, i quali hanno trovato il cadavere di Scarpia, si getta dalla terrazza del castello.

Programma e cast

Opera in italiano con sovratitoli in italiano e inglese
Durata: 3 ore circa, con intervallo

 

Direttore | Dan Ettinger
Regia | Edoardo De Angelis
Scene | Mimmo Paladino
Costumi | Massimo Cantini Parrini
Luci | Cesare Accetta
Video | Alessandro Papa

 

Interpreti
Floria Tosca | Sondra Radvanovsky (10, 13) / Anna Pirozzi (16, 21) / Carmen Giannattasio (12, 14, 20, 23)
Mario Cavaradossi | Jonas Kaufmann (10, 13, 16, 21) / Francesco Meli (12, 14, 20, 23)
Il barone Scarpia | Luca Salsi (10, 13, 16, 21) / Claudio Sgura (12, 14, 20, 23)
Cesare Angelotti | Lorenzo Mazzucchelli
Il Sagrestano | Pietro Di Bianco
Spoletta | Francesco Domenico Doto #
Sciarrone | Vsevlovod Ishchenko ♮ (10,13,16, 21) / Giuseppe Todisco ♮ (12,14, 20, 23)
Un carceriere | Ville Lignell ♮ (10,13,16, 21) / Giuseppe Scarico ♮ (12,14, 20, 23)
Un pastore | da annunciare

 

♭ debutto al Teatro di San Carlo
♮ Coro del Teatro di San Carlo
# Accademia del Teatro di San Carlo

 

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro | Fabrizio Cassi
Direttore del Coro di Voci Bianche | Stefania Rinaldi

 

Produzione del Teatro di San Carlo

Teatro di San Carlo

 

 

Teatro di San Carlo Napoli; Teatro dell'Opera di San Carlo; Real Teatro di San Carlo Napoli.

 

Il Real Teatro di San Carlo (Teatro Reale di San Carlo), il suo nome originale sotto la monarchia borbonica ma oggi conosciuto semplicemente come Teatro di San Carlo, è il Teatro dell'Opera a Napoli, Italia. Si trova adiacente alla centrale Piazza del Plebiscito, ed è collegato al Palazzo Reale.

È una delle più antiche sedi dell'opera pubblica del mondo, inaugurata nel 1737, solo cinque anni dopo il Teatro Manoel di Malta e decenni prima dei teatri La Scala di Milano e La Fenice di Venezia. 

La stagione lirica va da fine gennaio a maggio, con la stagione dei balletti da aprile a inizio giugno. Un tempo il teatro aveva una capienza di 3.285 posti a sedere ma oggi è stato ridotto a 1414 posti a sedere. Per le sue dimensioni, la struttura e l'antichità è stato il modello per i seguenti teatri in Europa.

 

Storia del teatro dell'opera

Commissionato dal re borbonico Carlo VII di Napoli, Carlo VII, Carlo voleva dotare Napoli di un nuovo e più grande teatro per sostituire il vecchio, fatiscente e troppo piccolo Teatro San Bartolomeo del 1621, che aveva servito bene la città, soprattutto dopo che Scarlatti vi si era trasferito nel 1682 e aveva iniziato a creare un importante centro lirico che esisteva già nel Settecento.

 

Così, il 4 novembre 1737, giorno del re, fu inaugurato il San Carlo, con la rappresentazione dell'Achille in Sciro dell'opera di Domenico Sarro, basata sul libretto di Metastasio del 1736, musicato in quell'anno da Antonio Caldara. Come di consueto, il ruolo di Achille era interpretato da una donna, Vittoria Tesi, detta "Moretta"; l'opera comprendeva anche il soprano Anna Peruzzi, detta "la Parrucchierina" e il tenore Angelo Amorevoli. Sarro ha anche diretto l'orchestra in due balletti come intermezzi, creati da Gaetano Grossatesta, con scene disegnate da Pietro Righini. Le prime stagioni hanno messo in evidenza la preferenza reale per i numeri di danza, e si sono esibiti tra i famosi castrati.

 

Alla fine del XVIII secolo, Christoph Willibald Gluck fu chiamato a Napoli dall'impresario Tufarelli per dirigere a teatro la sua Clemenza di Tito del 1852, e Johann Christian Bach nel 1761-62 portò due opere, Catone in Utica e Alessandro nell'Indie.

 

1737: Costruzione del Teatro di San Carlo

 

Il nuovo teatro dell'opera fu progettato da Giovanni Antonio Medrano, architetto militare, e Angelo Carasale, già direttore del San Bartolomeo. L'auditorium a ferro di cavallo è il più antico del mondo. Fu costruita al costo di 75.000 ducati. La sala era lunga 28,6 metri e larga 22,5 metri, con 184 palchi, compresi quelli di proscenio, disposti in sei ordini, più un palco reale in grado di ospitare dieci persone, per un totale di 1.379 posti a sedere. Compreso il posto in piedi, il teatro poteva ospitare oltre 3.000 persone. Il compositore e violinista Louis Spohr esaminò a fondo le dimensioni e le proprietà acustiche di questo teatro lirico il 15 febbraio 1817, e concluse il tutto:

 

non c'è posto migliore per il balletto e la pantomima. Movimenti militari di fanteria e cavalleria, battaglie e tempeste in mare possono essere rappresentati qui senza cadere nel ridicolo. Ma per l'opera, in sé, la casa è troppo grande. Anche se i cantanti, la Signora Isabella Colbran, [Prima Donna della compagnia lirica del Teatro San Carlo e futura moglie di Rossini], e i Signori Nozzari, Benedetti, etc., hanno voci molto forti, solo i loro toni più alti e stentoriani potevano essere ascoltati. Si è persa ogni tipo di tenera espressione.

 

Molto ammirato per la sua architettura, le sue decorazioni in oro e la sontuosa tappezzeria blu (il blu e l'oro sono i colori ufficiali dei Borbone), il San Carlo era oggi il più grande teatro lirico del mondo[6]. In relazione al potere dell'attuale Regno Borbonico delle Due Sicilie, Beauvert osserva che il disegno del teatro, con i suoi 184 palchi privi di tende, era tale che "nessuno poteva evitare lo scrutinio del sovrano" che aveva il suo accesso privato dal Palazzo Reale.

Nel 1809 Domenico Barbaia fu nominato direttore dei reali teatri d'opera di Napoli e rimase in carica fino al 1841. Ben presto si affermò per le produzioni innovative e abbaglianti, che attiravano nel teatro lirico sia il pubblico che i cantanti di spicco.

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